mercoledì 9 febbraio 2011

Ernst Stadler, "La partenza"

Duepunti è un gruppo palermitano attivo nella programmazione di eventi e happening e dedito alla diffusione della cultura underground: da qualche tempo esso è sbarcato nel mercato librario con un catalogo d'essai, lontano dalle tirature dei grandi gruppi editoriali ma, forse proprio per questo, estremamente attento alla qualità.
Nel catalogo ritroviamo due vecchie conoscenze del Tonno che fuma, Michele Cometa e Maurizio Pirro. Il primo ha pubblicato, assieme ad Alain Montandon, Vedere, un saggio sui regimi scopici nell'opera di E.T.A. Hoffman (argomento che Cometa aveva affrontato anche nella prefazione all'edizione Marsilio dell'hoffmaniano Des Vetters Eckfenster/La finestra ad angolo del cugino). Il secondo, Maurizio Pirro, ha tradotto e curato la pubblicazione dei cicli di liriche di Ernst Stadler (1883 - 1914): Der Aufbruch, Stationen, Die Spiegel e Die Rast. Il tutto è inserito nel volume La partenza, uscito, come anticipavo poc'anzi, per i tipi di duepunti.
Quella di Stadler, poeta, filologo e critico letterario morto nel corso di un combattimento durante la Prima Guerra Mondiale, è una figura poco conosciuta al lettore italiano, che probabilmente - ripeto, probabilmente - ha più familiarità con nomi come quelli di Georg Heym e Georg Trakl.
Dalla postfazione di Pirro emerge la specificità della posizione stadleriana, a metà tra istanze espressioniste e simboliste. Come risulta sia dalla lettura (penso innanzitutto a Heimkehr/Ritorno a casa) e come del resto conferma la postfazione, in Stadler si nota l'interesse espressionista per figure ai margini della società (tendenza, questa, che ritroviamo anche in altre arti, come nel cinema tedesco dei primi anni '20). Le tematiche espressioniste vengono poi rilette attraverso un gusto tipicamente simbolista per la scelta di figure con una forte carica allegorica.
Il tutto costituisce la cornice storico-stilistica entro cui ha origine una poesia percorsa da una potente carica vitalistica. Non è infatti infrequente imbattersi in liriche come Metamorphosen/MetamorfosiIn der Frühe/All'alba, dove ben si coglie la sensualità della donna amata: tangibile e potente, eppure solo accennata. E al vitalismo stadleriano non è estranea nemmeno la  dimensione religiosa: ciò si nota non solo in Tage/Giorni, dove viene direttamente invocata la Madonna, ma anche in maniera più sottile in Entsühnung/Espiazione, in cui non è sbagliato rinvenire un'idea di donna amata come mezzo di elevazione spirituale.
Stadler però non è solo vitalismo. Credo non sia fuorviante collegare Der Spruch/Il detto alla Lettera di Lord Chandos di Hoffmanstahl, che parla dell'incapacità da parte del medium verbale di esprimere adeguatamente l'esperienza umana (il corsivo d'enfasi è mio, qui come nel resto del post):
In un libro antico mi fermai su una sentenza,
Il colpo che mi inflisse ancora mi tormenta:
E quando in preda ai sensi intorbidati
Spregio l'essere in cambio d'ombre, menzogne e frivolezze,
Quando volentieri mi lascio raggirare da facili piaceri,
E confondo il limpido e l'opaco, come se le mille porte della vita
          non fossero serrate ed impenetrabili,
E ripeto parole di cui mai ho sentito la grandezza,
e afferro cose di cui mai ho compreso la natura,
[...]
Innanzi a me si leva la sentenza: uomo, cerca la sostanza!
Questa citazione introduce un'altra problematica non secondaria. Come vive Stadler l'elemento formale? Potremmo rispondere che lo fa in maniera ambivalente, e ne sia riprova Form ist Wollust/Forma è voluttà:
La forma, stretto catenaccio, doveva alfin saltare,
Lungo rapidi canali il vasto mondo penetrare:
Forma è voluttà, riposo, appagamento celestiale,
Ma io voglio dissodare il mio campo personale.
Alla forma piacerebbe avermi dentro una prigione,
Ma io voglio camminare sempre in ogni direzione - 
La forma è durezza cristallina, non compatimento,
Io comunque preferisco ciò che è monco, ciò che è lento,
E mentre diffondendomi io travalico i confini
La vita mi pervade realizzando i propri fini.
A tutto ciò potremmo ricondurre una scelta stilistica precisa e caratterizzante: assistiamo infatti ad una sistematica dilatazione del verso che, complice il ricorso all'enjambement, alla lunghezza irregolare dei versi e al verso ipermetro avvicina la poesia alla prosa e rende meno evidenti le rime a fine verso, che pur sono presenti ma finiscono per perdere in concretezza

È risaputo che la traduzione della poesia è terreno molto insidioso e che chi opera in questo campo rischia di aprire un vaso di Pandora, sapendo che la traduzione non rispecchierà mai al mille per mille l'originale. Con che criterio allora valutare la traduzione di un testo poetico? Nel caso specifico, come valutare la traduzione de La partenza?
Ultimamente mi è capitato di avere tra le mani lo spartito di un brano che l'autore, Elliott Sharp, introduce con una breve "composer's note". Sharp parafrasa Walter Benjamin e dice:
As Walter Benjamin pointed out, the job of the translator is much more than finding the equivalent words in a second language but to realize the original impulse of the source and output it through new eyes, mouth, hands.
Quello di Benjamin (e di Sharp) è un ottimo metro di giudizio per confrontare testo tradotto e testo di partenza: quest'ultimo viene opportunamente pubblicato a fronte, per invitare a cogliere la traduzione non come un calco pedissequo dell'originale, ma come una delle sue tante interpretazioni possibili.
La traduzione di Pirro scioglie in maniera convincente il nodo gordiano della forma delle poesie di Stadler e ne restituisce, per così dire, l'impulso originario. Oltre a notare un'aderenza molto precisa alle scelte semantiche dell'autore, vediamo anche un intervento che apparentemente non rispetta il testo originale, ma tiene sicuramente conto della resa in italiano. Dicevamo che la rima in Stadler è spesso presente, ma se ne perde la concretezza fonica, per via degli artifici stilistici di cui sopra. Pirro ricorre al verso libero: perché, se è vero che nel tradurre la poesia bisogna salvare il salvabile, è pure vero che se la rima a fine verso è difficilmente percepibile nell'originale, è inutile spaccarsi la testa per renderla in italiano. Semplicemente, il gioco non vale la candela.
E' scontato dirvi che, ove il verso tedesco è libero, lo è anche in traduzione. Quando invece, come nel caso di Form ist Wollust, è evidente una struttura originale fatta di versi di pari lunghezza a rima baciata,  quando cioè l'artificio fonico della rima ritorna in maniera più che evidente, il traduttore ritiene opportuno riportare questa scelta espressiva anche nel testo finale italiano. Ed è paradossale che una poesia che prende le distanze dalla forma abbia invece una struttura adamantina: ma è proprio la precisa scelta di traduzione che fa propendere per l'ipotesi di un'interferenza tra forma e contenuto cercata dall'autore. Non è del resto priva di fondamento l'asserzione di Todorov - sulla scia di Northrop Frye - secondo cui l'opera letteraria è un sistema in cui la coerenza è totale e nulla avviene per caso...  e poi, non sarebbe la prima volta in cui la poesia del novecento offre ambiguità che non si dischiudono completamente al lettore.
In sintesi, La partenza merita, perché è una raccolta poetica interessante, e spero che tutto ciò che ho scritto invogli non solo i germanisti a leggerla, ma anche chi non ha consuetudine con il tedesco letterario: ciò è dovuto all'ottimo lavoro di cura e traduzione che fa si che vengano salvaguardati, con perdita minima e fisiologica per un lavoro di traduzione, intenzioni di fondo e scelte espressive dell'originale. Compratela, anche perché è venduta ad un prezzo in linea con quelli titoli economici delle tradizionali Feltrinelli e Bompiani. La differenza è che con Bompiani e Feltrinelli potreste imbattervi in titoli di autori figli del pensiero debole e della rinuncia ad una sistematizzazione coerente della realtà... insomma, sono titoli che di qualità, spesso, ne hanno ben poca. Se invece andate a pescare nel catalogo di duepunti, non ve ne pentirete affatto.

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