domenica 17 gennaio 2010

Una sigaretta

Arriva il periodo degli esami e ritorna il nervosismo che inevitabilmente la accompagna. Il tempo per una sana fumata lenta manca e le lunghe pause di studio, ridotte al minimo indispensabile, sono sostituite da qualche sigaretta. Ciò mi porta a fare qualche breve considerazione su un mondo, quello del fumo "non lento", al quale non accedevo da mesi.
Devo ringraziare Mattia Petri per la considerazione espressa in un suo post dello scorso ottobre: la sigaretta, per una persona approdata al lento fumo, dura sempre troppo poco. Un'osservazione apparentemente scontata, ma in realtà molto importante perché spiega uno dei motivi per cui sono arrivato alla pipa.
Mi viene da citare Ernesto Calindri e lo storico slogan del Cynar: contro il logorio della vita moderna. Sono sempre stato dell'idea che chi studia seriamente, con passione, con l'intento di costruire/costruirsi un futuro, svolga un vero e proprio mestiere. Non un lavoro, perché qui in Italia gli studenti non vengono aiutati - se non in determinati casi - con "gettoni" anche irrisori. Di certo si tratta di un mestiere che dà i suoi problemi, le sue soddisfazioni, pone interrogativi di ampio respiro e chiede molte ore ogni giorno. Pare di no, ma spesso si sente - o almeno, io sento - che da questa attività scaturiscono grandi responsabilità, che richiedono grande spirito di sacrificio e abnegazione per essere superate al meglio. Di conseguenza sento come un carico pesante la somma di stress oggettivo (le ore di studio) e soggettivo (la tensione emotiva che deriva dallo studio).
Così, quando la sera non ce la si fa più dopo sette o otto ore passate a far funzionare il cervello (It's been a hard day's night...), si ha voglia di ritagliarsi un po' di tempo. Dopo una giornata trascorsa in modo frenetico la pipa rallenta il tempo, lo dilata, lo stira, chiede disperatamente un po' di attenzione per poter poi far partire una girandola di sensazioni e ricordi. Questa dimensione manca completamente nella sigaretta, che è relegata ad una dimensione più compulsiva, maniacale, che ben si adatta alla vita moderna e al suo frenetico ed incessante logorio di calindriana memoria.
C'è poi un'altra cosa. D'accordo, sono un pipatore tutto sommato di primo pelo, ma mi sembra di sentire in modo molto netto la differenza tra il gusto di una sigaretta e di una pipa. Una sigaretta, e qui integro la considerazione di Mattia, ha mediamente - quasi come un corollario di quanto espresso nel paragrafo precedente - un gusto terribilmente piatto e monocorde, se paragonato ai tabacchi da pipa (anche quelli meno complessi) o ai sigari.
Ho fumato di recente qualche Rothmans rossa. Le Rothmans rosse sono sigarette che in precedenza mi piacevano molto e mi incuriosiva perciò tornare a provarle dopo qualche esperienza "consapevole" in campo tabagistico. Per farla breve: mi è sembrato di fumare cemento armato e ho sempre fatto fatica ad arrivare alla fine.
La metafora è forte e volutamente esagerata: le Rothmans non fanno così schifo, non si abbassano al livello, che so, delle Camel blu, ma certo perdono miseramente il confronto con il lento fumo. Non c'è paragone. Ora ricordo perché da fumatore saltuario di sigarette sono diventato un fumatore saltuario - ma di gran lunga più affezionato - di pipa: la pipa è un mondo in tre dimensioni, mentre la sigaretta, se va bene, si limita a due.
...non vedo l'ora che finisca la sessione di esami, così posso ritornare di nuovo nel meditabondo e piacevole mondo della pipa.

domenica 10 gennaio 2010

Foto di gruppo con intruso

Da sinistra a destra: il Tonno che Fuma, Karl Marx, Johann Sebastian Bach, l'imbucato, Sherlock Holmes, Günter Grass, lo squalo martello.
Ringraziamo la ditta di dagherrotipi "Uguccione Aldobrandeschi" snc per aver messo a disposizione questo scatto d'antan.

domenica 3 gennaio 2010

La RAI del Friuli e Radio Capodistria

C'è una regione cui sono molto affezionato, vuoi perché le mie radici si trovano lì, vuoi perché vi abitano cari amici, vuoi perché ogni volta che ci vado scopro una terra che è punto d'incontro di molte identità. Sto parlando del Friuli Venezia Giulia, cui mi legano i ricordi di splendidi momenti passati a Codroipo, Gorizia, Tarvisio, Cervignano.
Capita che certe passioni ne richiamino altre, in un infinito ed imprevedibile gioco di rimandi. Sapete già da altri post della mia passione per la radiofonia, che in quest'ultimo periodo mi vede spesso dalla parte del microfono e che mi ha portato a scoprire emittenti di cui non sospettavo minimamente l'esistenza, o di cui conoscevo a malapena il nome. Sto parlando della RAI del Friuli Venezia Giulia e di Radio Capodistria. Ma andiamo con ordine.

Qualche anno fa, era il marzo 2004, ebbe luogo una sorta di rivoluzione nelle trasmissioni radiofoniche della RAI nel Veneto. Fu spento il canale sui 1368 KHz (Radio Tre), mentre al primo veniva riservata unicamente la frequenza di 936 KHz (fino a poco tempo prima, a Venezia almeno, si ascoltava pure sui 657 KHz).
Contestualmente a questo cambiamento, sono cambiati anche i palinsesti di Radio Uno nel Veneto: il programma L'ora della Venezia Giulia, prima trasmesso su 1368 KHz, passava appunto sulla frequenza di 936 KHz.
Ricordo con un certo divertimento lo stupore che provai allorquando, aspettandomi il Gr1 delle 15:30, sentii la gioiosa e un po' "sgangherata" sigla dell'Ora della Venezia Giulia. Subito mi colpì la qualità del programma, con un notiziario a spiccato carattere internazionale e uno spazio musicale, Sconfinamenti, con moltissimi approfondimenti ed interviste ai protagonisti della scena concertistica e discografica italiana.
Giocando un po' con il sintonizzatore in soggiorno, ho più tardi scoperto che a Venezia si riesce a prendere abbastanza bene un altro segnale di Radio Uno RAI, quello specifico per il Friuli Venezia Giulia (819 KHz). La sorpresa era relativa, altre volte ho ascoltato trasmissioni RAI per altre regioni (Emilia-Romagna, Marche e talvolta Lazio). La programmazione di Radio Uno per il Friuli, però, non si limita solamente ai consueti gazzettini regionali, ma propone in varie fasce orarie una programmazione decisamente d'essai: radiodrammi, approfondimenti di attualità, trasmissioni in dialetto, perfino un ciclo di puntate sulla storia della canzone triestina. Tutto questo mi riporta, in un continuo viavai di analogie e immagini suggeritemi dalla radio, alle sere passate con gli amici friulani a Casarsa o a Codroipo, piuttosto che alle gite transfrontaliere in giornata (che belle le capatine in Carinzia!), ai pranzi con i parenti a Cervignano o ad una gita a Trieste oramai lontana nel tempo.

Lo stesso "richiamo della foresta" mi lega a Radio Koper (Radio Capodistria), emittente slovena in lingua italiana.
Radio Capodistria è una stazione oramai ultrasessantenne con una connotazione complessivamente simile a quella della RAI friulana: molte notizie e trasmissioni di attualità, con grande attenzione a minoranze etniche (italiani in Istria e non solo) e politica nei Balcani e nella Mitteleuropa, oltre a tanta musica di qualità (classica, jazz, prog rock, canzone d'autore) e ad approfondimenti culturali di vario tipo. Fino a pochi anni fa, essa viveva nei racconti dei nonni, che parlavano di quella radio sempre con quel pizzico di nostalgia per non poterla più ascoltare, perché chi la trova più sulla radio a transistor (ad una certa età si ha poca voglia di cominciare ad ascoltare in webcast o di cercarsi un buon sintonizzatore).
E' evidentemente destino che nelle fredde giornate invernali si riscoprano, a forza di stare a casa, cose che si credevano dimenticate o che durante l'anno si è dovuto accantonare. E' successo così con Radio Vanessa e la stessa cosa mi è capitata recentemente con Radio Capodistria. Se quella però mi lega al mio insopprimibile "kernel veneziano" (v. post), questa, così come la RAI del Friuli, mi fa sentire con grande forza ciò che mi lega al Friuli e me ne fa sempre sentire un po' la mancanza, in una sorta di Sehnsucht che trovo (stranamente e paradossalmente) appagante.

Ognuno ha la sua madeleine: la mia è la radio, che come nessun'altra cosa sa farmi viaggiare con la mente. Lo fa ancora più dei libri e della pipa. Anche la musica mi fa librare in arditi voli d'immaginazione, ma mi porta su altre sfere più "alte" che non so, né voglio, descrivere a parole. La radio, invece, ha un potere evocativo che mi spinge anche verso il passato e verso ricordi apparentemente insignificanti ma molto piacevoli.
Chissà perché, poi: non vado alla ricerca di un motivo per questa cosa. Semplicemente, pipa alla mano, mi siedo in divano e mi rilasso, ascoltando le mie affezionate radio e lasciandomi trasportare dai ricordi.