mercoledì 30 giugno 2010

Il Tonno e il Toscano, parte seconda. Alcune annotazioni

Di sigari non scrivo da qualche tempo, da quando cioè accennai al mio fugace incontro con i Romeo y Julieta. Di qualsiasi cosa parlassi, una costante dei miei post sui sigari era che con il Toscano proprio non ce la facevo ad andare d'accordo. Vuoi per un motivo, vuoi per un altro, buona parte dei miei incontri con gli "storti" era stata un fiasco assoluto. La lingua batte dove il dente duole, lo "stortignaccolo" era una vera e propria spina nel fianco. Credevo si trattasse di un trend destinato a rimanere immutato: sbagliavo clamorosamente. perché ultimamente, complice anche la mancanza di tempo, pazienza e voglia di accendermi la pipa, ho rivalutato il Toscano e, se non è diventato amore, è quantomeno rispetto reciproco.
Bravo Tonno, dirà qualcuno di voi, lo sapevo che ci saresti arrivato... chi disprezza compra. Io però le mie ragioni per disprezzare il Toscano le avevo, eccome se le avevo. Tutte erano più o meno riconducibili al comun denominatore della forza della fumata. Niente niente che non hai lo stomaco pieno, il Toscano ti ammazza e pure a stomaco pieno passa senza tante smancerie e ti fa girare la testa: eventi che ho avuto modo di verificare ampiamente. Però molto dipende da come si fuma lo "storto", perché a leggere alcune voci sul web il Toscano si fuma solo e rigorosamente alla maremmana, cioè intero, altrimenti non stai più fumando un sigaro. 
A suo tempo ero rimasto alquanto colpito dalla perentorietà  di simili affermazioni e, nella mia inesperienza più totale, avevo cercato di adeguarmici: una causa persa, che mi è costata molte pastiglie di Anacidol e più di qualche attacco di nausea. Poi, improvvisamente, mi è sovvenuto che oltre alle voci puriste, fautrici del fumo "integrale" del Toscano, se ne sentivano molte altre che dicevano che il Toscano si può fumare si alla maremmana, ma forse si apprezza meglio ammezzato così non picchia sullo stomaco. No, tuonavano altri, il Toscano ammezzato è più forte del maremmano. Ma come fa, mi chiesi, un sigaro di otto centimetri ad essere più difficile da tollerare di un missile da sedici? E poi, perché mai un sigaro tagliato a metà dovrebbe soffrire di una sorta di peccato originale che lo rende indegno di fronte ai fratelli rimasti interi? Mi si è illuminata una lampadina e ho deciso di tagliare la testa al toro, o meglio, al Toscano.
Meno male che ho avuto questo lampo di genio e mi sono convinto a fumare qualche Toscano ammezzato, perché ho cominciato ad apprezzare un sigaro come il Classico (che non sarà il massimo dell'eleganza, ma ha una "fisionomia" che si impone senza ricorrere alla forza bruta e si fa apprezzare), a percepire la velleitarietà del Garibaldi (che sembra promettere fuoco e fiamme ma non è chissà che), a capire veramente perché dell'Antico si parla così bene.
Non solo, ma mi sono anche convinto che ad ammezzare i Toscani la mia dignità di fumatore certo non ne perdeva, a differenza di quanto si poteva dedurre leggendo gli assiomi dei pipaclub di pixel... ma poi, bisogna proprio postulare, in modo più o meno esplicito, una dignità del fumatore? Che bisogno c'è di ridursi ad inutili settarismi per cui chi non fuma come dico io non è degno di esistere? Non sono certo di quelli che dicono che la pipa  (con i suoi parenti) è la metafora della pace, però, per quel poco che ne so, non è nemmeno quella dell'odio. E allora, perché farsi il sangue inutilmente amaro? Fumiamo in pace e sentiamoci liberi di seguire i percorsi che più ci piacciono, senza farci influenzare dalle mode che, qua e là, pochi dettano e molti ripetono passivamente. Forse ne guadagneremo in conoscenza, sicuramente ne guadagneremo in buon umore.

domenica 27 giugno 2010

Thomas Bernhard: "Immanuel Kant"

Il 20 Ottobre si aprirà la stagione di prosa del teatro "Goldoni" di Venezia: ad inaugurarla, una rappresentazione di Immanuel Kant di Thomas Bernhard, per la regia di Alessandro Gassman. Un'ottima occasione per rimettere piede a teatro e per parlare di Bernhard che, come sapete, è uno degli autori che più mi stanno a cuore.
Introducendo il postumo Meine Preise/I miei premi, avevo citato incidentalmente una piéce minore, Die Macht der Gewohnheit/La forza dell'abitudine, per esemplificare lo sguardo straniato e freddamente oggettivo che caratterizza l'intera parabola creativa bernhardiana. Immanuel Kant non si discosta da queste coordinate: notiamo una lingua ricca, che attinge con precisione chirurgica a molti campi semantici, facilmente riconoscibile per la frequente ripetizione di alcuni incisi che, come fossero dei Leitmotiv, conferiscono un senso di coesione ed unità alla materia letteraria.
Bernhard si serve di questo arsenale stilistico per dipingere un'umanità malata, corrotta, intrinsecamente condannata a ripetere infruttuosi schemi di comportamento dai quali non ha mezzi e voglia di uscire. Il risultato è un penetrante realismo psicologico, che nei romanzi si colloca sullo sfondo di una realtà storicamente e socialmente ben definita (l'Austria della seconda metà del novecento), mentre nel teatro si staglia su realtà irreali o quantomeno improbabili, comunque caratterizzate da un grottesco intimamente crudele, tragico ed incline al nichilismo.
Alla luce di queste considerazioni preliminari, diventa chiara la citazione che precede la piéce. Bernhard cita, non a caso, un altro sostenitore della "crudeltà" del teatro, Antonin Artaud: ...ciò non deve significare - dice Artaud - che nel teatro si debba rappresentare la vita. Detto fatto. Dimentichiamoci la rappresentazione stereotipa di un Kant figlio del settecento, perennemente isolato nella sua Königsberg: il Kant di Bernhard viene rappresentato a bordo di un transatlantico, mentre si reca negli USA per ricevere una laurea honoris causa e curare un glaucoma che gli oscura progressivamente la vista. A fargli compagnia, oltre alla moglie, al servitore Ernst Ludwig e ad alcune figure (una milionaria, un collezionista d'arte, un ammiraglio) che certo non si distinguono per lungimiranza ed amore per il prossimo, il pappagallo Friedrich, l'unica entità sulla scena di cui Kant sembra fidarsi ciecamente, dal momento che è l'unico che ne segue le contorte evoluzioni intellettuali.
Kant sfodera una disillusione a tutto campo e demolisce i possibili appigli dell'uomo contemporaneo (la piéce debuttò il 15 aprile del 1978. Caso vuole che fosse l'anniversario della prima di Kabale und Liebe di Schiller!). Il protagonista si confida con il pappagallo Friedrich, segno che degli esseri umani, qui impersonati dal mondo delle accademie, non si fida (perfetto! Fa il paio con le amare considerazioni sull'istruzione obbligatoria di Der Keller/La cantina e con il rifiuto della cultura/evento mondano in Meine Preise); definisce la natura la più grande artificiosità; pur condannando duramente il capitalismo americano, parla di Marx e Lenin al passato, definendoli rispettivamente un buono a nulla e un povero demente e proclamandosi a sua volta - in maniera roboante - socialista vero, reale. Conoscendo la vita di Bernhard, vicino al partito socialista austriaco dal quale poi si dissociò, si può azzardare che per bocca di Kant parli Bernhard stesso, che si premura di mettere in guardia dall'ancorarsi a saldi punti fermi, siano essi una cieca fiducia nella natura e nel progresso umano o nelle grandi utopie/Weltanschauungen del novecento; tanto meno, pare dire l'autore tramite le velleitarie professioni di fede politica di Kant, ha una qualche utilità aggrapparsi a "terze vie" di stampo socialista-socialdemocratico.
Insomma, Immanuel Kant può essere letto come una parabola nichilista fredda, essenziale nella lingua (ricordo l'assoluta assenza di segni di punteggiatura!) come nei dettagli della messinscena (scenografie scarne, indicazioni di regia limitate allo stretto indispensabile e comunque ascrivibili ad un'impressione generale di forte asetticità). Pur non avendo la forza di quello che a mio parere è il capolavoro del teatro di Bernhard, ovvero Der Ignorant und der Wahnsinnige/L'ignorante e il folle, Immanuel Kant è un lavoro che vale la pena di essere preso in considerazione. Peccato che sia difficile, se non impossibile, trovarne una traduzione italiana. Per fortuna che, a parziale riparazione, interviene la messinscena di Alessandro Gassman: date le premesse, credo che varrà il prezzo del biglietto.

martedì 22 giugno 2010

Uno spot

Da buon appassionato di Gitanes Caporale senza filtro e da buon apprezzatore di Carosello e tivù dei bei tempi andati, vi giro un vecchio spot francese delle sigarette Gitanes. La pubblicità televisiva di cinquant'anni fa aveva ben altra eleganza rispetto a quella odierna!

sabato 12 giugno 2010

Perché le Savinelli non mi piacciono più

Quando da piccolo passavo davanti alle vetrine dei tabaccai rimanevo sempre con la bocca aperta; era chiaro sin da allora che la pipa esercitava su di me un fascino magnetico che, se da un lato mi avvicinava al mondo dei "grandi", dall'altro rappresentava qualcosa di più di un semplice strumento da fumo. Senza nemmeno sapere di cosa si trattava, imparavo a memoria i nomi dei marchi esposti: gli accendini Zippo, le pipe Ser Jacopo, Mastro de Paja, Dunhill e, un nome su tutti, Savinelli. Tanto lo vedevo ricorrere che per me dire "pipa" e dire "Savinelli" era come dire la stessa cosa.
Qualche anno più tardi, deciso a provare l'ebbrezza della radica e scartata l'idea della pittoresca - ma apparentemente poco affidabile - pipa di pannocchia, chiesi al tabaccaio proprio una Savinelli da battaglia, una bent billiard che più classica di così proprio non si poteva. I primi tempi mi sentivo un dio e non facevo tanto caso all'oggetto pipa, preso com'ero da pensieri quali Cazzo, finalmente ho una pipa dopo tanti anni che volevo provare e Evviva, finalmente potrò fumare tabacchi alla ciliegia e alla vaniglia (...si, erano proprio altri tempi). Progredendo nella mia scoperta di questo magnifico e multiforme mondo, messo leggermente in secondo piano l'aspetto "degustativo" ho incominciato ad interessarmi al lato estetico dell'oggetto-pipa.
Prendevo spesso in mano la Savinelli da combattimento. La osservavo attentamente alla ricerca di qualcosa che catturasse la mia attenzione: si, bella, assomiglia a quella di Magritte, ma... non sapevo cosa non mi convincesse. Nel frattempo i mesi passavano, i gusti si affinavano e andavano in direzioni diverse. Le cose non cambiavano, anzi. Alla fine no, la pipa proprio non mi convinceva più. Siccome mi dispiaceva che rimanesse "ferma", la regalai ad un carissimo amico che voleva imparare a fumare. 
Nel frattempo non ero rimasto fermo con le acquisizioni, e anzi, perseveravo ad acquistare Savinelli, ancora attratto dai miei atavici luoghi comuni. Piano piano però cominciava a diffondersi a tutte le Savinelli che avevo tra le mani lo stesso sentimento di No, non ci siamo che avevo avuto con la prima. E si che avevo pure una Standing e una Punto Oro (punzonatura a 4 cifre dei bei tempi andati), che insomma, non saranno state grandissime pipe ma erano pur sempre meglio delle entry-level da venti euro: no, niente da fare.
Oramai ogni volta che passavo davanti ai tabaccai veneziani con Savinelli in vetrina non riuscivo a trattenere un certo fastidio ed era perciò evidente che i miei problemi riguardavano il rapporto col marchio e non con i singoli articoli. Ho provato a chiedermi il perché di questo mio cambiamento di gusti, giungendo ad una serie di conclusioni di cui vi rendo partecipi. 
Primo: ho notato materiali e tecniche apparentemente di scarso livello. Chiaro, non si pretendono radiche fiammate sulle serie Oscar, ma anche su certe  pipe  a tiratura limitata ho trovato radiche non sempre eccezionali, con quello stucco che sembra dirti Sulle prime non mi vedi ma poi quando mi vedi ti mordi le dita perché è tutto pieno di pezze e ti ho fregato. Non parliamo poi della verniciatura che, va bene che parliamo di pipe industriali, ma converrete che vedere una pipa trattata come una mela caramellata, con quell'effetto specchio vorrei ma non posso, non è proprio il massimo.
E poi, gli shape. Ultimamente trovo le interpretazioni di Savinelli da 6+. Fossi un insegnante di italiano che commenta un tema, direi che l'alunno è rimasto dentro la traccia e ha avuto qualche spunto che però non è riuscito a sviluppare (aggiungo: qualche imprecisione ortografica). Mi sembra in altre parole di trovarmi davanti ad un prodotto da mera sufficienza, che non va oltre alla banale riproposizione del capostipite. Che so, ci fosse una veretta, una forma del bocchino un tantino meno goffa... il massimo che ho visto è il ricorso al bocchino in metacrilato dai mille color, alla maniera delle pipe di Croci, che francamente reputo un pugno su un occhio (confesso che la mia Standing, che avevo acquistato in un momento di profonda rabbia giusto per dire "butto via i soldi", apparteneva a questa categoria). Ma non basta un bocchino a fare bella una pipa dove già la radica è lavorata in modo poco soddisfacente. 
Altra cosa che non mi va giù è l'aggiunta, in alcune serie  di particolari che con la pipa hanno ben poco a che fare e sconfinano nel peggior kitsch: vada per la veretta in argento, ma che senso hanno la ghiera antivento o i diamanti incastonati nella radica,  o peggio ancora la foderatura in cuoio, che stanno alla pipa come un pinguino ai tropici? Quando si dice che il peggio non è mai morto...
Tirando le somme, sembra di trovarsi davanti alle chitarre da trecento euro che si vendono nei negozi di musica. Strumenti ottimi per "sbirciare" e cominciare, ma nettamente inferiori dal punto di vista funzionale e ancora di più da quello estetico: tavole armoniche con un dito di vernice a spruzzo, palette che si rendono ridicole nel tentativo di imitare un disegno Ramirez, Fleta o peggio ancora granadino... insomma, un delirio. 
Continuando con questo paragone, mentre nel campo delle chitarre, generalmente, se vai sui 1000 euro già trovi qualcosa di sensibilmente migliore rispetto agli strumenti da 150, che è un prezzo onestissimo per cominciare, con Savinelli questo non succede. Mi è capitato di vedere pipe Savinelli vendute a 200/250 euro - cifra abbastanza ragguardevole - che però non si distanziavano in modo netto, se non nella confezione e in altri dettagli di poco conto, dalle gamme entry-level. I motivi li ho analizzati poc'anzi.
Per carità, lungi da me il dettar legge, anzi, se non siete d'accordo ditemelo esplicitamente, ne sarò ben contento e sarà occasione per un sano confronto. Devo dire però che mi trovo abbastanza "saldo" in queste mie recenti considerazioni savinelliane.

giovedì 10 giugno 2010

Breve chiosa sul Black Parrot

Ammazza, da quanto tempo non parlavo di pipa! Eh si, come ebbi modo di dire tempo addietro il tempo è tiranno e lo spazio per i frizzi e i lazzi, non ultimo il fumar lento, è veramente poco... al massimo ci scappa di tanto in tanto una Gitane Caporal, che comunque è sempre meglio di niente e ben si presta a spezzare l'avvilente tran tran quotidiano fatto di continua spola tra casa e officine da studio (conservatorio, università, biblioteche...).
In quest'ultimo periodo il tabacco che più ho avuto occasione di sfumacchiare è il Black Parrot. Un tabacco bello umido, come ci si aspetta da un broken flake; un miscela tosta, che ben si adatta a pensose e semicoscienti fumate post-prandiali. Inutile specificare che dati i miei trascorsi di abbondante acquerugiola (che ci volete fare? Da buon Tonno il mio elemento è l'acqua!) non ci ho pensato due volte a fumare il Black Parrot su di una pipa dritta, la mia Viprati che tante gioie mi sta regalando e di cui vi parlai durante le ultime feste natalizie.
Più volte mi sono chiesto, aprendo la latta di Black Parrot, cosa mi ricordasse l'intenso odore che fluiva copiosamente: the? Nah, non direi, o almeno, non in modo caratterizzante. Uvetta? Hm, meglio, può essere. Pomodori secchi? Fuochino. Mai però che riuscissi a capire dove mi portava questo aroma così intenso... senonché, dopo una degustazione per così dire alquanto prosaica, ho avuto un'epifania che ha sciolto l'arcano. Ecco cosa mi ricordava l'aroma del Black Parrot: il confetto Falqui! Con questo non voglio dire che il Black Parrot faccia cagare, al contrario, è un tabacco secondo me di razza... ma magari vuoi vedere che nel Falquilax mettono etti di Perique?
Archiviati questi colpi di genio, torno a bomba sul tabacco e sulla sua resa in fumata. Come dicevo, ci troviamo davanti ad un broken flake. Nel caricarlo lo sminuzzo ulteriormente rispetto a come lo trovo nella latta, e pazienza se ci metto due minuti in più: personalmente riesco a fumarlo come si deve e ad apprezzarlo solo così. Quanto poi alla composizione, è evidente alla fumata che il Perique, questo tabacco presente ai limiti del piccante, ricopre nel blend un ruolo di primo piano: sconsiglierei questo tabacco come tutto-giorno e, come accennavo qualche riga fa, lo fumerei a stomaco rigorosamente pieno. Dirò di più, me lo sono goduto mentre, affondato nella poltrona di pelle rossa, mi lanciavo in letture meditabonde ed arzigogolate (passi dall'Adone del vituperato Marino, i misconosciuti Stigliani e Tesauro e quel povero Cristo di Ciro di Pers, il cui Orologio a rote è sempre per me fonte di godimento puro). Non mi esprimo sulla variazione del rendimento in base alle dimensioni del fornello, in quanto la mia latta da 100 gr è andata integralmente a finire nel fornello della Viprati. Ammetto del resto che nel mio parco pipe non ci sono presenze adatte all'uopo, dal momento che le poche presenze decenti sono dedicate ai trinciati cosiddetti naturali o alle EM pesantemente latakiose (ultime buste di Sobranie centellinate con parsimonia, Black Mallory, saltuariamente il Red Rapparee).
Ecco, ho accennato fugacemente al problema della latta da un etto: se volete provare questo tabacco può essere sconveniente prendere un barattolone king size... ma che ci vogliamo fare, è il difetto di altri prodotti di casa Ashton e di tutta la serie Timm (250 e 1000 solo per citare quelli che mi vengono in mente). Se però, guarda caso, siete disperati e non sapete cosa fare di quelle latte di Black Parrot che non riuscite a finire... beh, siate altruisti e buttatele a mare, perché ci sarà un Tonno disposto a prendersene cura al posto vostro!