martedì 20 aprile 2010

Ancora Thomas Bernhard. "Meine Preise"

Qualche mese fa avevo parlato dello scrittore austriaco Thomas Bernhard riferendomi ad uno dei suoi romanzi autobiografici, Der Keller/La cantina. Ritorno oggi a parlare di questo scrittore e a parlare di un suo lavoro scritto tra il 1980 ed il 1981, uscito di recente per Suhrkamp ed edito in Italia da Adelphi: Meine Preise/I miei premi.
La prosa di Bernhard si riconosce non tanto per le numerose ripetizioni (che ben conosce chi ha letto La cantina o i lavori teatrali, come Die Macht der Gewohnheit), quanto per la sua asettica essenzialità, che permette all'autore di (ri)evocare molte situazioni, di giudicarle con distacco e di trasmettere al lettore questa sensazione di straniamento, rafforzata da valutazioni critiche ai limiti del caustico. Una scelta di campo forte, che trova riscontro in tutta la produzione di Bernhard e comporta l'adozione di precisi moduli stilistici (gran parte del teatro di Bernhard, se non la sua totalità, è scritta alla maniera del teatro documentario brechtiano, che annovera tra i suoi seguaci anche pezzi da novanta come Peter Weiss e Die Ermittlung/L'istruttoria).
L'aspetto "documentario" e straniante della personalità di Bernhard gli ha procurato la diffidenza di molti lettori austriaci, specialmente di area conservatrice, che lo accusavano di essere un Nestbeschmutzer (letteralmente, colui che lorda il nido) che gettava discredito sull'Austria e sulla sua immagine nel mondo.
Sono reazioni che non condividiamo, ma tutto sommato comprendiamo. Quella dipinta da Bernhard è una realtà reazionaria ed asfittica, ove le voci di dissenso o comunque "diverse" vengono tollerate a fatica e, pur ricevendo il riconoscimento formale delle autorità - appunto sotto forma di premio - ne subiscono la sostanziale diffidenza. Impossibile che una situazione del genere venga taciuta da un attento osservatore come Bernhard, che finisce inevitabilmente per essere una voce scomoda alle orecchie di chi preferisce chiudere gli occhi davanti ai problemi della società.
Con questo non voglio dire che Bernhard sia esclusivamente un autore di denuncia, o peggio ancora uno scrittore impegnato: le posizioni di Bernhard riflettono al contrario una posizione lontana dal riconoscersi in questo o in quel partito, una posizione eccentrica ai limiti della misantropia. Una misantropia che, si badi, non esclude - e anzi richiama dialetticamente - un'acuta sensibilità antropologica, sempre in grado di cogliere i meccanismi che muovono il singolo e di smascherarne le ipocrisie.
Si coglie quindi una profonda disillusione nei confronti della realtà. Possiamo perciò dire che disillusione e critica alla società austriaca sono i binari entro cui si muove Meine Preise/I miei premi. Questo libro è una lettura, come accennavamo sopra, essenziale, ma non per questo scarna o arida. Al contrario, Bernhard si fa leggere tranquillamente e porta alla riflessione senza incappare in nessuna retorica intellettuale o atteggiamento da filippica. Veniamo posti davanti ad un quadro tratteggiato in modo sintetico ed efficace, che ci porta a riflettere e a riconoscere che società come quella austriaca degli anni '60-'70 non sono poi distanti da quella attuale: al contrario, l'estremo individualismo e l'atomismo che la regolano sono sempre gli stessi. Qualche risata questo libro ce lo può strappare, ma è un riso amaro, il riso di chi coglie il ridicolo dell'ufficialità e della pomposità autocelebrativa ed ostentata.
Insomma, concludo dicendolo in termini volgarmente facebookiani: al Tonno che Fuma piace questo elemento.

5 commenti:

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  2. Gran Bel libro La Cantina! A me sembrava di esserci vissuto (ed a volte di esserci ancora dentro)!Concordo con il commento...ma non trovi che La Cantina non sia solo claustrofobica, ma pure un (temporaneo) riparo dal mondo esterno?
    In termini volgarmente facebookiani:-) tutto sommato non finisce male, l'esperienza della Cantina non sarà inutile per il protagonista.

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  3. Ciao Zatopek! Grazie per i tuoi commenti.
    Per quanto riguarda la Cantina, concordo a metà con la tua osservazione. O meglio, la estendo: riconosco la claustrofobia che permea la Cantina, ma trovo che non si debba parlare tanto di "riparo", quanto di "fuga" e di "isolamento" dalla realtà sociale. Il che è paradossale, perché Bernhard non è misantropo a priori ma dimostra di conoscere bene (ed evidentemente lo fa per esperienza diretta) i meccanismi dell'umano agire...
    In ultima analisi credo che la Cantina sia un manifesto di libertà intellettuale ed azione fuori da schemi precostituiti dalla società. Pare di vivere nella Cantina, o meglio (almeno, l'impressione che ho avuto io è questa), pare di vivere nello stesso percorso che porta Bernhard ad optare per la cantina: quella specie di ipossia esistenziale di cui parla non è in fin dei conti cosa rara, almeno per chi nella vita fa un percorso in cui cerca o prova a cercare una propria verità. Nell'arte, nel lavoro o nella religione, poco conta, l'importante è che la cerchi.

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  4. Dimenticavo, Zatopek! Per la radio AM sul computer non ho proprio idea di come si possa fare!

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  5. Sai Tonno, il fatto è che le cantine, con le loro piccole storie le loro tradizioni mi attraggono molto e spesso ci finisco dentro, cercando un riparo, per questo il libro mi è piaciuto molto, anche se riconosco che l'interpretazione più corretta è la tua.
    E poi, nella vecchia cantina salisburghese si stava bene, salumi, formaggio, vino non mancavano!!

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